Quello che mi attirava in lei era il suo stare in ginocchio in Cappella davanti al Santissimo, assorta nella contemplazione del suo Signore.
Pregava a lungo, immobile, in ginocchio. Guardandola sorridere davanti al Tabernacolo, mi chiedevo, incuriosita, cosa mai si fossero detti in quel momento lei e il suo Gesù... Vederla pregare mi faceva "gola" tanto che il suo esempio mi fece desiderare di pregare come faceva lei. Vedevo in Giovanna una persona innamorata di Gesù e quindi felice, realizzata.
Mi colpiva il fatto che quando parlava non diceva mai: io farei così, io farei cosà... ma si chiedeva:
"Cosa farebbe Gesù? Cosa direbbe Gesù? Questo pensiero, lo farebbe Gesù? Perché se non lo fa Lui non lo voglio fare neanch'io..."...
I nostri colloqui terminavano sempre con questo augurio da parte sua:
"Buon tutto... con Gesù..."...
Negli anni della malattia mi colpiva come Giovanna riusciva ad offrire a Gesù la sua sofferenza e a non perdere mai il sorriso e la gioia. Appena le terapie glielo consentivano veniva ancora a pregare in Cappella perché diceva: "Non posso fare altro adesso: il mio lavoro è la preghiera!". E nello stesso tempo trovava ancora tempo per tutti.
Da sempre Giovanna ha avuto la capacità di farmi "intravedere" Dio. Negli ultimi tempi ancora di più: era, ai miei occhi, un'anima completamente identificata nella croce di Gesù. Quando andai a trovarla per l'ultima volta in ospedale, avrei voluto dirle tante cose ma non le dissi nulla per non stancarla. Mentre le accarezzavo la mano e la guardavo, mi disse con un filo di voce:
"Sempre, tutto, in unità!".
Sono queste le ultime parole che mi ha rivolto, parole che rappresentano per me il suo testamento, il motivo per cui è nata, è vissuta ed ha offerto la vita.