Preghiamo ogni giorno con la preghiera della PCA in cui, facendo nostre le parole di Giovanna, diciamo:
"Desideriamo offrirti la nostra vita perché in tutti i sacerdoti nasca il desiderio di generare una piccola famiglia spirituale che viva il tuo comandamento nuovo".
Il termine "
desiderio" ci sembra fondamentale: la nostra è una famiglia spirituale e si può aderire ad una famiglia solo se lo si desidera.
A noi sembra che ogni sacerdote, potenzialmente, abbia la capacità di generare una famiglia spirituale, ma occorre avere il desiderio di corrispondere a questa chiamata di Gesù. Generare delle anime nella preghiera, curarne la crescita, la formazione spirituale, corrisponde alla fatica gioiosa dei genitori che danno alla luce i figli: avere un figlio significa essere padre per tutta la vita, nel tempo e per l'eternità. Con don Bruno e Giovanna, abbiamo sperimentato e sperimentiamo la gioia di una paternità e maternità spirituali non generiche, disincarnate, ma concrete, reali. Ci parlano in modo particolare quei passi delle lettere in cui S. Paolo si rivolge a Tito, Timoteo e a tutti i membri delle comunità da lui generate chiamandoli, figli miei, miei veri figli nella fede. Preghiamo perché ogni sacerdote, se lo desidera, possa sperimentare questa gioia.
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Un equivoco che si è ingenerato spesso e che, nel tempo, abbiamo imparato a riconoscere è dato dal pericolo che i sacerdoti arrivino ad apprezzare i frutti di questa pianta senza interrogarsi sul seme, cioè sul come, nel corso di anni di vita spirituale, si sia arrivati a questo. Lo si attribuisce a qualità, capacità particolari legate ad una persona, ad un sacerdote, a don Bruno o Giovanna e non si è convinti che ogni sacerdote possa dar vita ad un'esperienza come questa. A questo proposito ci sembrano particolarmente significative le parole pronunciate da
Giovanni Paolo II il 4 novembre 1980 al 1° Convegno di parroci italiani a cui don Bruno aveva partecipato come incaricato dei parroci della città: "
Il celibato del pastore esprime il profondo legame che lo unisce ai fedeli in quanto sono la comunità nata dal suo carisma e destinata a totalizzarne tutta la capacità di amore che un sacerdote porta dentro di sé. Esso inoltre lo libera interiormente ed esteriormente, facendo sì che egli possa organizzare la sua vita in modo che il suo tempo, la sua casa, le sue abitudini, la sua ospitalità e le sue risorse finanziarie siano condizionate solo da quello che è lo scopo della sua vita: la creazione, intorno a sé di una comunità ecclesiale".